La presenza delle saline sulla nostra costa ha caratterizzato la vita della popolazione locale. Il sale era una fonte importantissima di sostentamento e anche ricchezza per la città.
Da aprile fino ad ottobre le famiglie intere erano impegnate con la produzione del sale, la conservazione e la vendita. Nelle saline di Capodistria i fondi saliferi venivano precedentemente preparati per l’evaporazione dell’acqua salata, in piena estate il sale prodotto veniva raccolto con il gavero, si preparavano dei cumuli, montagnette di sale, che venivano trasportate nei magazzini con i carri oppure più frequentemente con le barche a fondo piatto le cosidette »maone«.
I primi dati certi sui salinari di Capodistria risalgono al 1182, anno in cui i Capodistriani, grazie alla loro fedeltà alla Repubblica di Venezia, ottengono un importante privilegio relativo al commercio del sale. Il trattato infatti proibiva a qualsiasi nave fra Grado e Punta Promontore, presso Pola, di scaricare il sale in un porto che non fosse quello di Capodistria. Il privilegio determinò un notevole progresso dell’attività legata alle saline. Nel XVI secolo il commercio del sale era fiorente soprattutto con la Carniola visto che vi arrivavano annualmente anche 30 mila mercanti (chiamati mussolati), con quaranta-cinquanta mila fra cavalli e asini cosa che senza dubbio contribuì a sviluppare i traffici commerciali. A quell’epoca le saline di Capodistria si estendevano su di una superficie di 255 ettari, intersecata da aree paludose e distinta in varie zone: Semedella, Gorne, S. Leone, S. Nazario, S. Girolamo, Ariol, Sermin, Fiume, Campi e Oltra. La maggior parte dei fondi era di proprietà dei Capodistriani che, durante la stagione della raccolta del sale, assumevano lavoratori stagionali. Vista la mancanza di forza lavoro, occupata nell’agricoltura e nella pesca, nelle saline lavoravano anche le donne. Secondo dati di G. Cumin (Le saline istriane, 1937) la limitazione della produzione decisa nel 1822 fu bene accetta dai Capodistriani poichè molti disoccupati di Pirano sostituirono le donne nel lavoro nelle saline. Aumentò così la produttività, vennero sistemati i fondi e costruite baracche in legno per immagazzinarvi il sale. Verso la metà dell’Ottocento le saline nei mesi estivi davano lavoro a circa 1.600 lavoratori stagionali.
La produzione cominciò a calare drasticamente dopo il 1842, quando le autorità austriache proibirono il libero commercio del sale (concedendo contemporaneamente benefici a Trieste). Accanto al divieto di commercio venne imposta anche una quota massima di produzione che variava di anno in anno. Nel 1890 la produzione calò tanto da risultare appena conveniente. Le saline continuarono a vivacchiare sino al 1912 allorchè venne decisa la laoro definitiva soppressione. (Žitko et al., 1992)